Francesco Tortorici Cremona : L’antico Castello di Pietraperzia

Di Francesco Tortorici Cremona, don Cicciu Cudduzzu (1860-1932), conosciamo due testi diversi sul castello Barresi di Pietraperzia. Il primo con il titolo: “Il Castello Branciforti di Pietraperzia e primi abitatori del territorio pietrino” pubblicato sulla rivista mensile “La Siciliana” nel numero di ottobre del 1925 (cfr “La Voce del Prossimo”, del sac. Filippo Marotta, Anno I Dicembre 1981).
Il secondo testo, un panegirico con il titolo “Pagina di storia Pietrina”, fu pubblicato in un numero unico di giornale intitolato “OMAGGIO A S. E. IL PREFETTO DELLA PROVINCIA DI ENNA”, in occasione dell’inaugurazione del Corso Vittorio Emanuele, per la visita del primo prefetto della nuova provincia di Enna, Giuseppe Rogges, il 18 Novembre 1928 . (cfr. “La Voce del Prossimo”, Anno I, Giugno 1982).
Qui riproponiamo, per il suo valore letterario, una parte dell’articolo pubblicato nel 1928, con il titolo “L’antico Castello di Pietraperzia”, pubblicato postumo dal periodico PRISMA a Caltanissetta nel 1934.

Sicilia pittoresca
L’antico Castello di Pietraperzia

Molti secoli avanti che fosse sorta Pietraperzia che oggi conta, circa quattordici mila abitanti, tutti gli altipiani che gli fan corona (lo denotano le reliquie di una età preistorica) erano abitati da gente semiselvaggia, nomade, proveniente dall’Asia, senza patria, né famiglia, salvo il vincolo di affetto, comune a tutte le creature; non regolata da leggi scritte, ma da consuetudini tramandate da generazione in generazione e da un alto sentimento religioso, che riguardavano quale suprema autorità, a cui si prostravano fedeli ed obbedienti. Ciò è desunto dalla cura speciale usata nel seppellimento dei loro cari defunti. Nelle contrade, benché sfruttate dalla vanga del contadino, di quando in quando, si scoprono delle sepolture, entro cui si rinvengono oggetti artistici in terra cotta; vasi, anfore, simulacri e monete. Si presume che questa gente, probabilmente emigrata per sfuggire alle persecuzioni di popoli oppressori, abbia trovato rifugio in questo territorio fertilissimo, dove la pastorizia poteva ben essere stata la loro industria prediletta; e non è lontano dal vero, chi afferma che una tal vita, scevra da esigenze, nella solitudine dei campi ricchi di vegetazione, lontana dai pericoli della guerra e non soggetta al più forte, doveva scorrere tranquilla, contemplativa, beata.
Ma, allorquando, per sete di dominio e di ricchezze, ebbero luogo le invasioni lungo il litorale dell’isola, da parte dei popoli provenienti dalle regioni circonvicine e specialmente dei Cartaginesi e dei Greci, allora s’intese la necessità di fuggire e di difendersi. Fuggire verso l’interno dell’isola, scegliendo le alture come punto di osservazione per avvistare il nemico e per difendersi da questo.
Ed ecco sorgere Enna, imprendibile, nel centro della Sicilia, Siracusa, Tauromenio, (Taormina) Agrigento, Catania, Nasso, (Náxos), Gela, Egesta (Segesta) Solunto (Santa Flavia) ecc. con le relative fortezze, atte a rintuzzare la furia delle armate invadenti.
In seguito, ogni borgo ebbe il proprio castello che si ergeva a cavaliere dei pochi fabbricati sottostanti, come aquila in difesa dei figli.
Naro, Nissa, (Caltanissetta), Mussomeli, Pietraperzia, Mazzarino, Butera, furono muniti di castelli, il cui signore era, per lo più, un guerriero, riconosciuto superiore per forza, per ingegno e per ricchezza, che assumeva la protezione delle persone, non che dei beni dei suoi vassalli.
Dopo una lunga serie di conflitti, con alterne vicende, durati per molti anni, tra i greci di Sicilia e i barbari Cartaginesi che occupavano molte città cospicue siciliane, i Romani, scacciati i Greci e i Cartaginesi, s’impadroniscono dell’isola intera e ne affidano il governo a Caio Verre che vi commette ogni sorta d’iniquità. Dunque, dal dominio Cartaginese, il Castello di Pietraperzia, passa sotto i Romani, la di cui potenza teneva in soggezione tutto il mondo allora conosciuto.
Ma, dall’apogeo della gloria, l’impero romano, corrotto dai vizi, precipita nella decadenza, e la Sicilia diviene un’altra volta preda dei barbari, fino alla venuta dei Saraceni che prendono definitivamente possesso di tutta la Sicilia.
Il Castello pietrino, che già esisteva con le fortificazioni della parte di occidente, venne ampliato e reso inespugnabile da nuovi dominatori.
Dopo duecento anni di dominio, scendono i Normanni in Italia: scacciano i Saraceni, e formano il reame di Napoli e di Sicilia. Sotto di costoro, il Castello pietrino subisce delle modificazioni, così che in breve tempo diventa, più che una fortezza, un palazzo` ammirevole per architettura e per i lavori di scalpello : opere d’arte di gran valore, diffuse e profuse nei marini e nella pietra calcarea.
Fu allora, che Ruggiero dei Conti di Altavilla, in ricompensa dei servigi a lui resi da un nobile suo commilitone, nominato Abbo Barres sceso con lui in Sicilia per debellare i Saraceni, gli diede in dono Pietraperzia, con tutti i suoi vasti possedimenti che ne costituivano il territorio, molto più esteso di quello attuale, attesoché vi erano annesse le terre di Convicino, oggi Barrafranca, che allora non esisteva.
Dalla prole di costui, venne edificata l’ala orientale del castello, con la famosa scala a chiocciola, capolavoro architettonico, dove, fusto, gradini e pianerottoli, che davano accesso ai diversi piani, erano di unico pezzo.
Successore di Abbo Barres fu Matteo, a cui successe il figlio Arrigo, che combatté contro i Francesi. nel Vespro Siciliano e per cui Pietro d’Aragona lo destinò al governo di Enna.
Ad Arrigo succedette Giovanni Barresi, ed infine Matteo II Barresi, il quale nel 1521 fece costruire il convento di S. Domenico (attuale sede del Municipio), esclusivamente per i discendenti di nobile prosàpia.
In quel tempo, a scopo di perpetuare la fina memoria, diede principio alla fondazione di un paese non molto distante da Pietraperzia, dalla parte sud est, promettendo, a tutti coloro che si fossero recati ad abitarlo, l’esenzione di tutte le tasse. Vi concorsero i Pietrini e gli abitanti di Militello, di cui Matteo era Marchese, ed a questo paese nuovo, diede il nome di Barrafranca — derivato da Barresi e franco, nome che, alcuni, ritengono sia stato imposto, in memoria dei Duchi Barri Francesi suoi antenati, ed altri, son di parere che “franca „ significava esente da gravezze.
Da Matteo, nacque Pietro Barresi, che Filippo II dichiarò principe di Pietraperzia. Erede di lui fu Dorotea Barresi, nata in questa nel 1533, sposa di Don Giovanni. Branciforti, discendente di una famiglia comparsa in Sicilia ai tempi di Federico II, ciò che risulta da un atto dello stesso Federico, con cui approva la compra di Mazzarino, con il suo Castello.
Rimasta vedova, Donna Dorotea, sposò Don Vincenzo Barresi, e, morto costui, passò a terze nozze con Don Giovanni Zunica, Vicerè di Napoli, nella quale città andò a stabilirsi. Tornata in Pietraperzia a rivedere il figlio del primo letto, Fabrizio Branciforti, ammalatasi, morì nella sua terra natale l’anno 1591, all’età di 58 anni.
Con essa finisce la signoria Barresi e comincia l’altra dei Branciforti. Da Fabrizio, nacquero Caterina e Francesco. La prima fu moglie di. Placido Nicolò Branciforti, barone di Tavi e fondatore di Leonforte nel 1618, il secondo, sposò la serenissima Giovanna d’Austria figlia di Giovanni, il quale era figlio illegittimo di Carlo V. La suddetta Giovanna, dimorò nel castello baronale.
Dai registri dell’archivio della parrocchia di Pietraperzia appare che la stessa, tenne al fonte, battesimale un tal Federico Russo nel 1625.
Da quell’epoca, i signori del castello, ritiratisi in Palermo, vi lasciarono i governatori, rimanendo, detto castello, proprietà dei Branciforti ; ed in ultimo, per il matrimonio di Donna Stefania Branciforti con Pietro Lanza, principe di Trabia, rimase proprietà di quest’ultimo.
Sino al 1790, vi si ammiravano le armi bianche antiche, conservate intatte nella sala d’armi, trasmesse da eredi in eredi, che formavano il decoro del castello illustre: elmi, corazze, archi, mazze, lance, alabarde ed armature intere di cavalli. Queste armi furono trasportate, al museo di Agrigento da Don Mauro Deliteris che aveva sposato Donna Concetta Duchen, figlia adottiva di Don Ercole Branciforti. Donna Concetta, ebbe assegnata una dote di trenta salme di terra, in contrada Pietrificili, e Don Mauro, fu eletto podestà e proprietario di tutti i mobili del castello esistenti, le armi comprese.
Di dette armi, oggi non rimane nemmeno vestigia, poiché nel 1820, i rivoltosi, saccheggiarono e depredarono il suddetto, museo di tutti gli oggetti di valore.
Presentemente, il castello pietrino è un ammasso di rovine; e non per la tirannia del tempo distruttore, ma per non si sa quale atto inconsulto di mentalità medievale in ritardo, che ne ha effettuata la demolizione, a proprio vantaggio, impadronendosi financo delle pietre, delle porte ferrate e delle travi dei soffitti, in barba alle disposizioni contenute nella legge 20-6-1909 N. 364. Parce sepulto!

Francesco Tortorici Cremona