Stanno per scomparire i PALAZZI DEL PASSATO

Quando ad Antonio Lalomia capitò di passare per alcune strade del paese ormai svuotate dall’emigrazione e dall’abbandono, anche per l’impetuoso e disordinato sviluppo edilizio di quegli anni,  fu colto da sconforto per le condizioni in cui versava già allora Pietraperzia. Leggere le sue attualissime considerazioni sconsolate; ma ancora piene di speranze per una soluzione possibile (questo articolo  fu pubblicato su L’INFORMATORE CENTRO-SICULO nell’Ottobre 1986), toglie, oggi, ogni speranza ad un possibile recupero degli antichi quartieri storici. Era il vecchio impianto urbanistico che dava un’anima e un carattere a Pietraperzia, ormai irrimediabilmente perduti.

Fino a pochi decenni fa, a chi percorreva la statale per recarsi da Barrafranca a Pietraperzia, superava la curva del “Fondachello”, appariva improvviso il panorama del paese, dominato dai ruderi austeri e solenni del castello Barresio. Accanto ad esso si stagliava imponente la cupola della Chiesa Madre, con attorno una miriade di casupole di gesso, come dei pulcini attorno alla chioccia.
Abbarbicate su una collina di roccia calcarea, le case di gesso, bianche e grigie, frammezzate da palazzetti costruiti con blocchi squadrati di roccia arenaria, s’intonavano perfettamente col colore dell’ambiente naturale. Dalla sommità della collina strade diritte e strette, come lame, scendevano e scendono ancora fino a fondo valle. Qua e là emergeva la punta di un campanile. Questo quadro, oggi è in parte mutato. Il paese è cresciuto e non è più possibile raccoglierlo tutto con uno sguardo. Ma non è questo che voglio porre all’attenzione del lettore. Quello che voglio evidenziare è lo stato di abbandono dei palazzetti, di quelle macchie di colore rosso-giallo, che spezzavano la monotonia del colore delle case di gesso e costituivano la caratteristica del panorama del paese.
Alcuni giorni fa, percorrendo le strade del paese sono stato assalito da una sottile malinconia di fronte allo spettacolo di abbandono, di corrosione e spesso di deturpazione delle costruzioni.
Camminando per le vie della parte medievale del paese, oppure per le via S. Nicolò, Garibaldi e qualche altra ancora si ha netta l’impressione dello sfacelo di tali palazzi.
La loro vetustà è evidente, qualche costruzione, risale al ‘600, ma senza barocchismo, quasi un anticipo dello stile settecento semplice e pulito; è lo stile con il quale sono stati costruiti la maggior parte degli altri palazzi.
Percorrendo tali vie, dicevo, non si può che restare sorpresi dei danni che tali palazzi hanno subìto: cariatidi spezzate, portali corrosi dal tempo, balconi sfondati, frontali caduti, cornicioni rifatti e deturpati, erbaccia sui muri, prospetti rifatti in stile moderno di pessimo gusto, che sono come un pugno in un occhio (buon Dio! Ma dov’è l’ufficio tecnico del comune?).
Eppure sono state le abitazioni delle famiglie più illustri del paese per nobiltà e per censo dal 1500 ad oggi! Sono state le abitazioni dei Moncada, dei Romano, dei Rosselli, dei Salamone, dei Miccichè secondo quanto ci ha tramandato padre Dionigi e fino a poco tempo fa erano quelle dei Corvo, dei Pucci, dei Bonaffini e ancor’oggi, alcune di esse, appartengono ai Nicoletti, ai Potenza e a qualche altra illustre famiglia.
Che cosa si: può fare? Certamente. qualcosa si può fare; lì dove il privato non ha forze sufficienti per salvaguardare il proprio patrimonio, è il potere pubblico che deve intervenire. Come? Non spetta a me dirlo spetta alle autorità costituite esperire tutte le vie perché questo patrimonio artistico venga salvaguardato e protetto (a proposito a che punto è la pratica per l’acquisto dell’ex palazzo del Governatore?).
Il mio vuole essere uno sfogo ed un appello alle autorità perché intervengano nell’interesse generale del paese.

Antonio Lalomia