PERCHÉ I MORTI PORTANO REGALI

 

La celebrazione dei defunti in Sicilia è estremamente sentita, tanto che la visita al Cimitero è quasi un obbligo sociale. Vi si recano anche coloro che hanno subito di recente dei lutti, “i visitusi”, che però evitano il consueto orario pomeridiano. A Barrafranca, insolitamente, ma non incoerentemente, la visita avviene per Ognissanti, anziché giorno due. Nella notte fra l’uno e il due i bambini, infatti, riceveranno i regali e potranno a loro volta nel giorno successivo volgere un pensiero riconoscente agli estinti. In tutta la Sicilia gli adulti lasciano credere ai fanciulli che in quella notte i morti si allontanino dalla loro dimora dell’aldilà e scendano in paese a visitare le pasticcerie e i mercanti di giocattoli per scegliere “i cosi di morti” da portare in regalo. Chi inizia a sospettare che a compiere gli acquisti siano i genitori è già cresciuto e presto perderà il diritto a quei doni. I bambini di oggi hanno smesso di andare a letto timidi e speranzosi e pretendono di contrattare con gli adulti e i negozianti i regali da ricevere, forse consapevoli che il nonno non avrebbe mai saputo scegliere tra i vari ufo-robot e videogames.
Forse l’avo stenterebbe a trovare le pupe di zucchero un tempo così comune a tutta l’area mediterranea e maghrebina in particolare, per non parlare dei caval-lucci a dondolo ormai prodotti a Taiwan secondo l’iconografia della banda Disney.
La tradizione rischia di estinguersi, subendo la concorrenza sleale di Santa Claus e della Befana che portano regali nello stesso periodo invernale. I bambini non sanno più chi fa i doni e perché li ricevano, a parte la clausola vessatoria ed imprecisa dell’esser buoni, almeno in quella fase dell’anno. Il senso dei regali portati dai morti, in realtà, è molto antico e profondo. Per comprenderlo bisogna risalire alle prime forme di civiltà; bisogna partire, per dirla col Foscolo che di Sepolcri se ne intendeva:
“Dal dì che nozze, tribunali ed are diero alle umane genti essere pietose di se stesse e d’altrui…”.
Tutte le società primitive, per quanto barbare, avevano credenze religiose e seppellivano i morti. Lo spirito degli estinti non si allontanava dal villaggio, ma vegliava sui nuovi guerrieri e sulle nuove madri. L’Ade e gli Inferi non erano stati ancora inventati, né tanto meno il Nirvana e il Paradiso. Gli spiriti dei defunti non erano ancora anime nobilmente astratte, ma “geni tutelari” in grado di intervenire nella vita sociale della comunità. E tali rimasero ancora per tanto tempo nelle più evolute religioni successive. I romani veneravano i Lari e i Penati che custodivano le loro case e ancora oggi i Mormoni, continuando la tradizione biblica, sacralizzano la genealogia d’ogni ceppo familiare, come simbolo di elezione.
Nelle tradizioni popolari, come si sa, i residui e i retaggi delle antiche credenze e delle primitive forme di religiosità permangono a lungo sotto forma di sedimento culturale e danno vita a delle tradizioni solo apparentemente irrazionali. Per la cultura popolare, insomma, i morti non sono mai del tutto morti. Mal si adattano all’inerzia minerale che la cultura laica vorrebbe loro attribuire o all’estraniante angelicamento della cultura giudaico-cristiana. Paolo Toschi riferisce che in Friuli e in Lombardia nella notte tra l’uno e il due si lascia la tavola apparecchiata e il fuoco acceso, perché i morti possano mangiare, bene e riscaldarsi. In Sicilia i morti, come spiriti benigni, visitano i loro discendenti ed eredi, secondo una simbolica “corrispondenza d’amorosi sensi”.

Carmelo Orofino

tratto da L’INFORMATORE CENTRO-SICULO. Novembre 1989 Anno V n. 11