Tre racconti di Francesco Lanza tratti dai “Mimi siciliani”

“I Mimi sono il più singolare, originale libro del Novecento italiano”
(Vincenzo Consolo).

Dalla casa degli spiriti alla piccola Atene – Museo di Antonino Uccello a Palazzolo Acreide

 

IL PIETRAPERZESE

Al pietraperzese era morto il pa’; e tutti lo piangevano a gran voce.
Lo vestirono, lo misero nel cataletto, e diedero al pierzese da tenere la candela; e lui guardava con la bocca aperta e gli occhi asciutti, senza ài né bai.
Uno lo tirò per la manica:
— Perché non piangi? Non vedi ch’è morto tuo pa’?
E lui:
— O come posso piangere, che ho la candela in mano?

 

IL GREMBIULE DELLA PIERZESE

La pierzese aveva addosso un grembiule che toppe ce n’erano una sull’altra da non contarsi più, e a cento colori; sicché divenuto spesso del doppio pareva invece la pannicciata dell’asino.
Il marito, che glielo sapeva dal dì delle nozze, non poteva vederglielo più in mano per rattopparselo, che non le bastavano mai pezze e le si sfaldava da ogni parte; e come venne la fiera gliene comprò uno nuovo.
Quella, a vederlo non sapeva quanto lodarlo, ch’era a fiorami; e intanto faceva:
— Che belle toppe si possono tagliare di qua per il mio grembiùle sciupato, e così posso mettermelo anche per la festa.
E dato di mano alle forbici si mise a tagliare di là le toppe per quello vecchio; e a lavoro finito, lo mostrava tutta contenta al marito:
— Guardate, marito mio, com’è ora rappezzato il mio grembiule, che pare nuovo nuovo.

 

LA FIGLIOLINA

Il pierzese e la pierzese, aspettando di sposarsi, ragionavano del futuro come sarebbero stati, tutt’e due insieme come due dita nel miele, e non si saziavano dal ripeterselo; lui questo lei quello, come l’avessero già davanti gli occhi. Prima la casa e la mula, poi il campo e ogni ben di Dio: il frumento nel granaio, le cipolle sul tetto, le zucche sotto il tetto. Arrivati al partorire, si mettevan d’accordo ch’era una figliolína, e se la rubavano a vicenda e la sbaciucchiavano tutta.
— O quant’è bella la figliolìna — diceva lui — e somiglia tutta a suo pa’ che sono io: il naso dritto, gli occhi biondi, il neo sulla guancia.
— Ma nella bocca, tutta a sua ma’. E le do a succhiare la mia mammella, ch’è gonfia di latte; e si fa bianca e rosea come una cipolla, e s’ingrassa come una porcella.
E quand’è grande la mia figliolina — continuava lui — la do sposa ad un giovine come una bandiera, che si chiama Calo’.
— E all’anno fa un figlio ch’è tutto a suo pa’ e si chiama Roccuccio, come voi.
— Ma se ci muore con le vajolore?
— Ahi, la figlia mia ch’è  morta con le vajolore!
E il pierzese anche lui:
— Ahi, ch’è morta; ahi, ch’è morta! — e tutt’e due a piangere a dirotto come due grondaie, che si sentivano sin dalla piazza.
E i vicini, accorrendo:
— O chi vi è morto, che fate così?
E quelli:
— Ci è morta la figliolina che ci deve nascere.